venerdì 2 giugno 2017

Il dolore che guarisce


La natura non ammette sprechi, e se ci ritroviamo a limitare la nostra funzione sacra nel mondo, attraverso comportamenti e scelte inadatte al nostro bene, siamo immancabilmente fermati. Sperperiamo il nostro valore completamente sommersi dall'esteriorità, da pregiudizi, condizionamenti, lamentele, identificandoci con ciò che possediamo e dal ruolo che ci hanno attribuito, alla maschera che indossiamo nei diversi ambienti e nelle diverse relazioni.

Vaghiamo in questo pianeta assenti a noi stessi, orfani di noi stessi. Esistendo senza vita.

Quanta commozione mentre scrivo queste parole, quanta tenerezza provo al ricordo di me, per quei momenti di drammatica esistenza, ed insieme quanta gratitudine per aver conosciuto la mia nudità.
Tuttavia, in quei giorni, ogni sfioramento d’immagini, di pensieri, di emozioni mi provocava dolore. Io ero il dolore. Ero il mio dolore.
Trascorrevo molto tempo su una panchina nella zona alta della città: eletta a mia dimora per alcune ore della giornata. Lassù il mio sguardo non aveva nessun limite. Vedevo il mare ed i tramonti senza avere la minima percezione della gioia. Anzi, era il solo modo per attenuare, anche di poco, il mio terrore.
Ben presto arrivai a non riuscire ad alzarmi dal letto. Ricordo bene un pomeriggio. Era il giorno del mio compleanno. I miei trentacinque anni.

Nel salotto del mio appartamento stavano alcune mie sorelle con le mie bambine. Sentivo il loro vociare e tutto andava bene, purché restassi a letto, il mio luogo protetto. Entrò nella mia camera Anna, la primogenita, più grande di me di diciassette mesi: se ne stava beata col suo pancione. Era in dolce attesa.
Si sedette sul dondolo in bambù che stava poco lontano dal mio letto, ma a distanza di sicurezza. Iniziò a dondolarsi come tempo addietro amavo fare anch’io. 

Provai una sensazione gradevole nell’osservarla.  Allungò il braccio e mi porse la mano accarezzando la mia. Prova a fidarti diceva. Riuscì, in un tempo senza tempo, con dolcezza e pazienza, quella puramente materna, a farmi sentire serena, ritrovandomi seduta sul dondolo al posto suo.
Lentamente, quasi cullandomi, trascinò la sedia sino alla cucina dove mi attendeva una bellissima torta. Era il mio compleanno ed io rinascevo. Ora il dolore dell’anima era diventato fisico e mi trapassava il corpo, permettendo di accorgermi di avere un corpo: muscoli, articolazioni, occhi, testa, spalle, stomaco, tutto rispondeva all’appello. Il mio corpo esigeva presenza. Sentivo che quello sarebbe stato un momento che mai avrei dimenticato.

Nessun commento:

Posta un commento